Credo sia stata colpa delle parole. Le parole costano poco a volte, anche quelle sincere. Per anni sono uscito di casa col buio e ho guidato su strade sconosciute per il gusto di perdermi altrove. Ma un viaggio notturno non è così potente quanto una voce che dice quello che vuoi sentire. Servirebbe tempo e spazio per spiegare, tempo e spazio che sento di non avere. Ricordo – mentre sentivo questa voce – la sensazione che un amo entrasse nel mio labbro – un leggero dolore – e mi portasse in direzione diversa rispetto a quella che avrebbe richiesto la gravità della situazione.
Purtroppo, come la mappa non è il territorio, così una voce non è sangue né carne. Adesso cammino in una direzione e guardo nell’altra. Non c’è più modo di avere sguardo e corpo allineati. Se fuggo il mio sguardo si gira indietro a vedere quello da cui mi sto allontanando. Se vado avanti la mia testa cerca spaventata il luogo sicuro che sto abbandonando. E sono io che tengo l’amo e lo tiro. Spero che il mio labbro ceda, alla fine, e grazie al dolore io possa tornare libero.